19 Marzo 2024
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Circuito OFF Lucca - LA FOLLIA DI ARAL

28-04-2020 - 51,68 KB - Mostre Fotografiche
icona relativa a documento con estensione pngCircuito OFF Lucca - LA FOLLIA DI ARAL

09 Agosto 2019: il sole fece capolino, i colori freddi della notte si addolcirono su sfumature tenui.
Il nero stellato lasciò il posto man mano al rosa poi ad un blu più intenso.
La sabbia del deserto si colorò d’arancio e giallo, ceppi di piante presero vita in un verde sempre più acceso.
Da est si alzò una leggera brezza che portò con sé profumi, odori esotici.
Nacque un nuovo giorno su uno dei più efferati scempi perpetrati contro la natura: la scomparsa di un mare, il Mare di Aral.
Posizionato storicamente al confine tra Uzbekistan e Kazakistan, Aral era uno specchio d’acqua così grande che era chiamato con l’appellativo di Mare.
Uno spettacolo della natura, un habitat per moltissime specie di flora e fauna, risorsa economica per l’uomo che poteva dedicarsi sia alla pesca sia al lavoro di preparazione e conservazione del pesce.
Una scriteriata e ottusa politica innestata dal vecchio regime sovietico, volta a sostenere e sviluppare a livello intensivo la coltura del cotone in una zona così arida, portò alla deviazione del corso di due fiumi che si immettevano nel lago tramite l'uso di canali, al fine di prelevare montagne di acqua volte all’irrigazione delle neonate colture.
Fu l’inizio di una progressiva e completa scomparsa delle acque.
In più l’uso indiscriminato di pesticidi e diserbanti finì per inquinare irrimediabilmente il terreno circostante, tant’è che ancora oggi, dopo oltre 50 anni, polveri inquinanti vengono sparpagliate ovunque dalle frequenti tempeste di sabbia, fino ai lontani ghiacciai dell'Himalaya.

… tu chiamale se vuoi, emozioni ….
Arrivai nella cittadina di Moynaq quando ancora era notte, lasciandomi alle spalle un viaggio a tratti impervio; una brevissima sosta nel nulla, dove il nero dell’infinito si rompeva alla luce di milioni di stelle, mi ripagò della fatica. Aspettai le prime luci dell’alba e cominciai a scattare.
Mi ero documentato, avevo visionato immagini, ma questo non fu in nessun modo sufficiente a non farmi emozionare difronte a questo indegno spettacolo.
Scelsi la tecnica del bianco e nero, esaltatandolo con un acceso contrasto, risaltando la granulosità, giocando con le ombre: questo è stato il mio modo di esprimere la struggente drammaticità, lo sdegno che in ogni momento di ogni scatto provai.
Immortalare un’imbarcazione che era contornata, in modo scomposto, da piccoli ceppi di piante spinose, ruvide, dure, era il veicolo per trasmettere l’emozione: ecco dunque l’accentuazione del contrasto degli elementi in gioco nell’inquadratura.
Aggirandomi tra questi strumenti di lavoro, che in tempo lontano erano forieri di benessere economico-sociale, calpestando il suolo che in origine era il fondale di un mare, udendo gli scricchiolii del metallo ormai morto, mirando conchiglie ridotte in fossili, mi ponevo sempre più, io essere vivente, in un cimitero senza croci.
Quando ormai il sole fu alto e per me tutto fu compiuto, accesi una sigaretta, mi sedetti sul selciato; poco dopo mi si avvicinano curiose due persone: erano nonno e nipote che passeggiavano.
Fermatesi vicino a me il nonno sapeva già chi fossi un turista in cerca di avventura. Il nipote, a modo suo, fece da interprete anche se non ce ne fu bisogno: le poche parole sussurrate assieme alla sua espressione facciale le capii molto bene: con esse affermò il suo dolore più grosso: la perdita della sua dignità, la perdita della dignità di una comunità dedita in un lontano passato ad un lavoro duro ma onesto, che per vergogna di aver perso tutto, inventò le bugie più banali fino alla negazione dell’evidenza.
Lo sguardo dimesso si abbassò, la mano si alzò in segno di un mesto cordiale saluto.
Messomi in disparte, sedendomi in quell’assordante silenzio, rotto solo dal cinghuettio di ignari volatili, seguendo con lo sguardo l’incedere del vecchio insicuro e zoppicante, pensai a lungo senza trovare alcun(per)chè.



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