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il Relitto del Concordia

07-04-2021 12:12 - News
Attraverso l'esperienza del sub Cesare Balzi conosciamo la storia del Relitto del Concordia.
È una vicenda affascinante quella del piroscafo da carico Concordia, ma che non ha lasciato grandi tracce del suo passato, se non la lunga lista di armatori ai quali è appartenuto e i tanti nomi che via via gli sono stati attribuiti. E così, nel 75esimo anniversario dal suo ultimo viaggio, un team del Lorenzo Sub Diving Center con sede a Fiumaretta, in provincia della Spezia, ha deposto una targa sul relitto con gli obiettivi di commemorare l’affondamento della nave, gettare luce sull’episodio e magari trovare testimoni che potessero aggiungere dettagli alla storia.
LA STORIA
La costruzione del Concordia venne avviata in Gran Bretagna, nel 1892 nei cantieri Raylton Dixon & Co. Ldt. di Middlesbrourgh per conto dell’armatore Tyne Steam Fishing Co. North Shield. Varato con il nome di Tyne Meadows, all’inizio venne utilizzato come grande peschereccio d’altura con le tipiche linee del naviglio di fine ‘800: prua verticale e poppa prominente sopra il timone. Aveva una stazza lorda di 124 tonnellate, una lunghezza di 33 metri, una larghezza di 6 e un pescaggio di 3. Nel 1927 venne venduto all’armatore Arnaldo Cobebò di Livorno che lo ribattezzò con il nome Marea, iscrivendolo con la sigla GE 1425 al compartimento marittimo di Genova e riadattandolo in piroscafo da carico. Quattro anni più tardi, nel 1931, passò di mano e venne ceduto all’armatore Luigi Licchena che lo iscrisse al compartimento marittimo di Catania con la sigla CT 142; due anni dopo, nel 1933, venne nuovamente ceduto all’armatore Santo Comis che lo rinominò Concordia. Nel 1936 venne ceduto all’armatore Placido Lizio che lo utilizzò per il trasporto di merci sulla linea Catania - La Spezia. Nel corso del secondo conflitto mondiale non venne requisito né adibito per scopi militari, tuttavia, il 12 settembre 1943, il Concordia subì un primo affondamento a Formia, in seguito ad un attacco aereo tedesco lungo la costa laziale. Sopravvissuto al bombardamento, venne recuperato, ripristinato e ceduto all’armatore Licciardelli & C. di Catania. A guerra terminata, il 1° ottobre 1945 - come riportato nel testo “Navi mercantili perdute” curato dall’ufficio storico della Marina Militare - il Concordia, in navigazione al largo della Spezia, entrò in collisione con una mina alla deriva che ne decretò la fine nonostante, in quel periodo, le acque della Spezia fossero setacciate palmo a palmo dai palombari per liberare il golfo da ordigni inesplosi. Lo scoppio provocò uno squarcio impressionante sul fianco sinistro e il mercantile affondò al largo dell’isola del Tino. Potrebbero esserci state, purtroppo delle vittime, o forse chissà l’equipaggio riuscì a salvarsi, tuttavia nella cronaca d’epoca l’episodio non è riportato. E’ possibile che qualche spezzino ricordi ancora, anche solo attraverso il racconto dei familiari. Anni dopo furono proprio palombari del luogo a recuperare dal relitto alcuni materiali ferrosi, dopodiché, del piroscafo se ne perse ogni traccia.
L’IMMERSIONE
Il relitto del Concordia è rimasto lì inesplorato sino al 2004, quando venne trovato e identificato da Raffaele Laghezza e l’Osso di Seppia Tek Team di Bocca di Magra. Da quel momento è diventato una meta per subacquei, su un fondale di 42 metri, a 8 miglia al largo di Punta Bianca, raggiungibile oggi in gommone dal Lorenzo Sub D.C. di Fiumaretta. Per l’immersione, nel corso della quale viene deposta la targa, decidiamo di respirare una miscela Nitrox con il 28% di ossigeno, in modo da sfruttare i benefici dall’uso di una miscela più ricca di ossigeno, dovendoci trattenere a lungo sul relitto per realizzare anche la documentazione fotografica curata da Marcello Di Francesco; per la fase decompressiva utilizziamo una miscela EAN50 in bombola S80. Arrivati sul punto esatto con il gommone, gettiamo sulla verticale del relitto un pedagno, in modo da garantire con una cima e una boa galleggiante, un saldo collegamento tra il relitto e la superficie. Scendiamo. L’estremità della cima viene fissata alla poppa del relitto, ad una profondità di 36/37 metri. Prima di iniziare l’immersione prendiamo alcuni punti di riferimento poiché, a causa della composizione del fondale sabbioso e delle correnti che lo investono, la visibilità sul relitto può cambiare improvvisamente anche nel corso dell’immersione. Il relitto, adagiato sul fondo in assetto di navigazione con un orientamento est/ovest, è ancora integro e ben conservato. La targa commemorativa in acciaio, incisa per il 75esimo anno di affondamento del piroscafo, viene fissata sulla parte alta del cassero, alla profondità di 37 metri assieme alla bandiera tricolore della marina mercantile. Dopo alcuni scatti fotografici a ricordo dell’evento, proseguiamo l’immersione. Sul ponte di coperta, divisi da ciò che rimane dell’albero di carico, vi sono due ampi boccaporti che conducono direttamente alle stive di carico del mercantile Sul cassero di prora è rimasto un piccolo argano, parzialmente coperto da una rete ed un’ancora, probabilmente quella di rispetto. Di frequente, al di sotto dell’argano è possibile incontrare un astice che colpisce per la sua grandezza. L’estremità della prua, interamente ricoperta da concrezioni, ha un tagliamare quasi verticale, come imponeva la tecnica cantieristica di fine ottocento. Facendo molta attenzione a parti metalliche sporgenti, cime e lenze, entriamo nella prima stiva, quella più a prora. All’inizio la visibilità si riduce notevolmente, dopo qualche istante si intravede la luce che filtra dalla falla, creata dalla collisione con la mina Lo squarcio è molto ampio ed è possibile oltrepassarlo per uscire sulla murata di sinistra dello scafo. Dai bordi sfrangiati e ricurvi verso l’interno, si intuisce la violenza dell’esplosione. Attraversiamo la falla facendo molta attenzione a cavi e reti che possono rendere difficoltoso il passaggio. Risaliamo di qualche metro e siamo nuovamente in coperta. Tra i due boccaporti delle stive troviamo una piccola colonia di gorgonie bianche (Eunicella verrucosa). Il chiarore della loro colorazione attira la nostra attenzione poiché contrasta fortemente con quello dell’ambiente che lo circonda. Sul ponte si trova un altro argano completamente avvolto da reti. Faceva funzionare un secondo albero di carico di cui è rimasta solo la base. Il castello di poppa è intatto anche se l’usura del mare ha portato via la copertura; sono ancora riconoscibili gli oblò, le porte di accesso alla struttura e un’apertura di forma rettangolare da cui saliva il fumaiolo. Proseguiamo verso la poppa, ampia e arrotondata. Qui, spesso, la visibilità si riduce notevolmente. La parte poppiera, tuttavia, è completamente tappezzata da Anemoni gioiello (Corynactis viridis). Grosse reti, rimaste incagliate alle strut ture, ricoprono parzialmente il relitto. Ci riportiamo alla cima di collegamento alla superficie e dopo aver dato un ultimo sguardo al relitto del Concordia, iniziamo la risalita, nella speranza di un piacevole incontro con i pesci luna.



Fonte: Scubazone - Cesare Balzi

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