SHARK CULLING: quando il pericolo non viene dal mare
24-05-2021 18:03 - News

Secondo voi è più probabile essere colpiti da un fulmine o venire attaccati da uno squalo? Se avete risposto a voce sicura “Mangiati da uno squalo!!!”, allora, forse, la risposta corretta potrebbe cogliervi di sorpresa! È, infatti, maggiore la probabilità che un fulmine vi colpisca durante un temporale piuttosto che uno squalo provi ad attaccarvi mentre state nuotando al mare. Questo è ciò che emerge dall’International Shark Attack File (ISAF), un database mondiale che registra gli attacchi di squali dagli anni Sessanta. Eppure gli squali continuano a detenere il titolo di “mangiatori di uomini” ed ogni caso di attacco conquista sempre la prima pagina delle testate giornalistiche. Sicuramente la televisione e il cinema (ricordate la famosissima pellicola di S. Spielberg “Lo squalo”?!?) hanno giocato un ruolo fondamentale contribuendo a modellare e plasmare negli anni la nostra percezione di questi elegantissimi predatori. Storicamente, proprio come nel film di Spielberg, la reazione all’attacco di uno squalo era una vera e propria spietata caccia al colpevole a bordo di pescherecci. Queste spedizioni, spesso estremamente disorganizzate e prive di ogni coordinazione, si concludevano con l’uccisione di un gran numero di esemplari, anche sotto taglia, e di specie di squali che nulla avevano a che vedere con gli attacchi. Abbandonata la caccia agli squali assassini, sono comparsi altri sistemi di protezione dei bagnanti quale ad esempio lo “Shark Culling”, ovvero programmi di abbattimento, tipicamente promossi dai governi, volti a controllare e ridurre il numero di squali potenzialmente pericolosi in zone assiduamente frequentate. Ed è proprio a seguito di un attacco da parte di uno squalo, verificatosi nel novembre 2013, che il governo del Western Australia (WA) è passato all’azione installando due sistemi di protezione al largo della costa occidentale australiana. Questi sistemi consistono in una serie di grandi ami dotati di esche sospese ad un galleggiante ancorato al fondale, conosciuti come ‘drumlines’, che hanno l’intento di catturare ed intrappolare esemplari di squali che si trovano troppo vicini alle coste. Pescatori professionisti hanno poi il compito di sorvegliare la zona e misurare la lunghezza degli esemplari catturati: tutti gli individui ancora in vita che superano la soglia dei 3 metri devono essere abbattuti con una speciale arma chiamata “powerhead”. Accanto alle ‘drumlines’, vengono utilizzate anche reti da posta di circa 200 metri di lunghezza con maglie larghe che svolgono il medesimo compito: catturare gli squali che si avvicinano troppo alle spiagge. Sono soprattutto tre le specie target di questi programmi di “Shark culling”, i cosiddetti ‘Big Three’, identificati in Australia come potenzialmente pericolosi per l’uomo: il Grande Squalo Bianco (Carcharodon carcharias), lo Squalo Leuca o Zambesi (Carcharhinus leucas) e lo Squalo Tigre (Galeocerdo cuvier) . Al fine di istituire legalmente questo programma di abbattimento selettivo, il governo del WA ha dovuto chiedere ed ottenere la deroga dal governo federale dalle sue responsabilità di protezione nei confronti delle specie minacciate. Le tre specie target sono, infatti, inserite nella lista rossa della IUCN. Questi programmi sono stati messi in atto, non solo lungo le coste occidentali australiane, ma anche lungo quelle orientali: in New South Wales, dal 1937, ogni anno da settembre ad aprile vengono posizionate reti progettate per intrappolare gli squali; in Queensland, a seguito di due incidenti avvenuti nel 1961, le ‘drumlines’ sono state accostate alle già presenti reti anti-squalo. Al di fuori dell’Australia, i programmi per il controllo degli squali vengono utilizzati nella provincia sudafricana di KwaZulu-Natal, sull’isola francese La Riunione e, precedentemente, sono stati utilizzati in Hawaii e Nuova Zelanda. Larga parte del mondo scientifico si è opposto e continua ad opporsi ai programmi di “shark culling”, presentando pubblicamente le lacune che la strategia presenta, anche su note riviste scientifiche come Nature. Sono svariati, infatti, gli studi che hanno dimostrato come le ‘drumlines’, ma soprattutto le reti, abbiano sostanziali effetti negativi su una larga parte della fauna marina, come delfini, razze, tartarughe, squali e, occasionalmente, grandi pesci ossei che rimangono spesso impigliati nelle reti. Inoltre, gli effetti dello “Shark Culling” si sommano a quelli di altre pratiche come lo “Shark finning” (ovvero la rimozione delle pinne di squalo da esemplari che vengono rigettati in mare agonizzanti), la pesca accidentale (il cosiddetto by-catch) e la pesca ricreativa che, collettivamente, causano la morte di più di 70 milioni di squali l’anno. E le conseguenze potrebbero essere inimmaginabili: il drastico calo di questi animali, importanti predatori all’interno della rete trofica, si prevede possa avere effetti negativi a cascata sull’intero ecosistema. Possibili alternative già testate o in corso di perfezionamento esistono: ci sono sistemi che minimizzano il rischio di incontri e attacchi di squali senza l’uccisione di questi ultimi. Esistono, ad esempio, reti di esclusione a maglie molto fini che delimitano una zona utilizzata dai bagnanti e che, nonostante alcuni problemi emersi durante il collaudo, si sono rivelati efficaci nel ridurre gli attacchi. Alternativamente, sono stati sviluppati dei dispositivi elettrici, come lo Shark Shield™, in grado di produrre campi elettrici, cui gli squali sono estremamente sensibili, che ne provocano l’allontanamento. In maniera molto simile, i magneti costituiscono un nuovo potenziale strumento ingegneristico in grado di modificare la direzione di nuoto degli squali. Più recentemente è stata testata l’efficacia delle barriere Sharksafe™, ovvero strutture che mimano le dense foreste di kelp, zone generalmente evitate dal grande squalo bianco, dotate di magneti, repellenti per gli squali. E, da ultimo (ma non certo per importanza), la conoscenza da parte dei bagnanti delle abitudini e comportamenti degli squali: questo è sicuramente uno strumento fondamentale per evitare situazioni potenzialmente pericolose che potrebbero portare ad incontri fatali (ad esempio bagni notturni, in acque fonde o in presenza di colonie di potenziali prede). Giunge in aprile 2019 uno spiraglio di luce per gli squali della Grande Barriera Corallina: il Tribunale ha infatti ordinato al Parco di interrompere la componente letale dei programmi di “Shark Control”: gli animali catturati con le drumlines dovranno essere marcati e rilasciati, indipendentemente dalla taglia. Tuttavia, a distanza di pochi giorni, l’ordine del Tribunale è stato sospeso fino all’appello di agosto. Nella speranza di un esito finale positivo, ci auguriamo di assistere ad un incremento delle politiche di protezione, piuttosto che di abbattimento, degli squali a livello mondiale. E, soprattutto, ci auguriamo che, grazie alla conoscenza, tutti possano comprendere la bellezza e l’importanza di questi affascinanti predatori.
Fonte: Scubazone - Eleonora Re
Fonte: Scubazone - Eleonora Re